Le vasche rupestri di Pietranico
Nel
Comune di Pietranico, allo stato attuale delle ricerche, troviamo la maggiore
concentrazione di palmenti scavati nella roccia presenti nella nostra
regione. Alcuni di questi
complessi di pigiatura, oggi all'aperto, furono anticamente recintati da mura e
coperti da un tetto.
Dall'esame
del catasto onciario di Pietranico del 1748 appare subito evidente la grande
quantità di fondi destinati a vigneto: quasi ogni famiglia possedeva una vigna,
pur piccola, per i propri consumi. Le località menzionate, che solo in minima
percentuale riscontriamo sulle carte dell'I.G.M., sono circa trenta, ma la
maggior parte delle vigne figura in una vasta zona denominata Caprera. In
numerosi casi al toponimo "Caprera" ne viene aggiunto un altro per
specificare meglio l'ubicazione del fondo agricolo: la vasca, le macchie, la
canale, S. Giusta, le scale, lo sportello, preta santa.
Oltre
al toponimo "vasca", piuttosto ricorrente, nel catasto troviamo in
tre casi un chiaro riferimento al rudimentale impianto di pigiatura.
Pietranico |
Nel
caso di Girolamo Grandonio bracciale d'anni 33 si
legge:
Dippiù
possiede una Vasca da pestar uve sopra il Territorio di Francesco Santilli loco
detto Caprera col Ius della strada, non rende cos'alcuna.
Dovrebbe
trattarsi della vasca n° 5. Le case che si trovano vicino alla vasca
appartengono ancora alla famiglia Grannonio.
Per
Domenico de Vito bracciale d'anni 44 troviamo:
Dippiù
possiede un Territorio vignato, e chiusato loco detto Caprera, con Casaleno, e
Vasca...
Infine
Don Aurelio Mattucci della Terra di Tocco:
Dippiù
possiede un Territorio Campese loco detto Vasca di Pavolo, di Tomolo due,
confinante l'Università a' due lati e la sudetta Vasca...
Pietranico |
Alcuni
autori, per vasche del tutto simili a quelle presenti nella nostra regione, non
esitano a collocare la loro origine in epoche remote giungendo perfino alla
preistoria. Gli unici dati certi sui quali noi possiamo contare per datare le
nostre vasche sono i riferimenti presenti nel catasto onciario e la data 1687
incisa su una delle vasche. Non escludiamo, comunque, una loro maggiore antichità
che potremmo far risalire alla ripresa dell'agricoltura avvenuta nel medioevo
grazie anche a condizioni climatiche particolarmente favorevoli. Datare una
semplice pietra scavata è estremamente difficile e gli eventuali reperti
rinvenuti al suo interno o nelle immediate vicinanze sono poco indicativi.
L'unica indagine sicura è quella che studia il territorio nelle sue vicende
storiche e climatiche.
Da una
sommaria indagine condotta in alcune regioni con tradizione vinicola si è
potuto costatare che l'uso di realizzare delle vasche di pigiatura all'aperto
in prossimità delle vigne era piuttosto frequente. Retaggio della
colonizzazione greca dell'Italia meridionale, sono particolarmente diffuse in
Calabria, Puglia, Sicilia e Campania, ma le troviamo anche in Toscana e
sicuramente in altre regioni italiane. Al di fuori dell'Italia sembra
particolarmente ricca la regione francese dell'Ardèche.
In
Abruzzo sono presenti nel comune
di Pietranico, in provincia di Pescara, in alcune località del Chietino
(Pennapiedimonte, Lama dei Peligni, Palena) e del Teramano (Fano Adriano). Per
la provincia dell'Aquila il De Nino ne segnalò la presenza a Ripa di Fagnano e
a San Demetrio dei Vestini, sempre nella provincia dell'Aquila. Abbiamo altri
ritrovamenti nell'agro di Ofena, zona particolarmente vocata alla coltura
della vite; inoltre negli scavi archeologici condotti nel territorio di Molina
Aterno (Aq), si sono rinvenuti vasche di pigiatura e strutture appartenenti ad
un torchio a trave.
Fano Adriano |
Rimanendo
sempre nella regione abruzzese troviamo particolarmente interessanti le notizie
su antiche vasche di pigiatura, contenute negli statuti della città di L'Aquila
e riportate dal Lopez in un suo interessante saggio. Ogni vasca di pigiatura era munita di un sistema di torchiatura delle vinacce realizzato tramite un torchio a trave.
Il torchio a
trave ha una origine molto antica e ne troviamo delle precise descrizioni sia
in Plinio che in Catone. Plinio evidenzia il fatto che tale tipo di torchio
è particolarmente adatto alla spremitura di grandi quantità di uva.
E'
interessante riportare la descrizione di un torchio a trave fatta da Plinio:
Nei torchi
ha importanza la lunghezza, non lo spessore. I torchi grandi premono meglio. Gli antichi
li facevano abbassare con funi, cinghie di cuoio e leve. Negli ultimi 100 anni
si sono inventati i torchi greci, con un albero centrale scanalato a spirale; a
questo albero alcuni fissano un blocco di pietra, altri invece una cassa piena
di pietre che si solleva insieme con l'albero: è questa la soluzione più
apprezzata.
Probabilmente,
almeno nella fase iniziale, in questo tipo di torchiatura le vinacce erano
contenute in un sacco e, inoltre, per distribuire meglio la forza premente, nel punto in cui il
palo toccava il materiale
da spremere erano fissate delle robuste tavole di legno in modo da formare una
gabbia di contenimento delle vinacce. Successivamente sarà realizzato il
cilindro a listelli che con alcune modifiche verrà applicato ai torchi più
moderni.
Il principio
di funzionamento del torchio a trave è quello di una leva di secondo genere, il cui fulcro è l'incastro (f) nel
quale si inserisce la "testa" del palo, la forza resistente
corrisponde alle vinacce (u),
collocate vicino al fulcro e, infine, la potenza è la vite senza fine applicata
all'estremità (v), o il sistema di taglie dell'argano. La platea della vasca
era realizzata con una leggera pendenza, in modo che il liquido della
spremitura potesse defluire, tramite un condotto, in una vasca più piccola,
dentro la quale veniva raccolto.
L'incastro
della trave nella roccia delle vasche censite era realizzato in modo molto rudimentale,
semplicemente inserendo la sua estremità nell'incavo. Nei torchi a trave più
grandi, che troviamo in molti casali della montagna abruzzese, il fulcro veniva
perfezionato tramite un perno passante che ancorava la trave alla parete di
sostegno e diveniva nello stesso tempo il suo asse di rotazione.
La vite senza
fine veniva collegata ad una grossa pietra; la rotazione provocava
l'abbassamento della trave e l'aumento di pressione sulle vinacce. Continuando
con l'azione di avvitamento si arrivava al massimo della pressione
raggiungibile quando la pietra di base si sollevava.
Gli impianti in grotta della Valle di Vusci
Esaminando alcuni toponimi della Valle di Vusci, nei comuni di Carapelle e Castelvecchio Calvisio, come Colle delle Vigne, Madonna delle Vigne e Strada delle Vigne, questi ci forniscono una chiara testimonianza di un tipo di coltura di cui oggi non rimane traccia nella valle se non nelle strutture fisse per la pigiatura dell'uva, nascoste nel buio delle grotte.
La Valle di Vusci |
Il numero di impianti di pigiatura
presente nei casini e nelle grotte isolate, le dimensioni delle vasche e dei
torchi a trave lasciano supporre una notevole produzione di uva. L'orientamento
particolarmente felice della valle e la quota che va dai 450 ai 700 metri
devono certamente aver favorito questo tipo di coltivazione che ancor oggi
produce vini rinomati sulle assolate pendici della vicina conca di Ofena.
L’edificio più interessante e imponente della valle, giustamente chiamato “palazzo” o “palazzotto”, figura in molte mappe demaniali dell’inizio del 1800 con il nome di “Palombara”. Ma lo troviamo già verso la fine del 1500 fra quei beni che la Baronia di Carapelle dava in affitto.Un altro casale estremamente interessante, dotato di due impianti di pigiatura, è il casale Visioni, che reca inciso al disopra dell’ingresso la data 1733. Non sappiamo quando sia iniziata la coltivazione della vite nella valle, ma possiamo quanto meno risalire al 1692, visto che troviamo incisa tale data sulla colonna di un torchio a trave. E’ comunque lecito supporre che già da diversi secoli la si coltivasse.
I casini
La tipologia costruttiva nettamente predominante è quella della casa di pendio. Ogni casino, anche il più piccolo, può contare su una grotta che si addentra più o meno profondamente nella montagna. A piano terra la parte in muratura, prevalentemente coperta da volte a botte, è quasi sempre molto più piccola di quella retrostante realizzata per scavo. In alcuni casi dalla grotta principale si accede ad altri ambienti laterali, dove troviamo i depositi per la paglia e per gli attrezzi agricoli e delle piccole stalle. L'ambiente più grande è quello occupato dall'impianto di pigiatura per la presenza della trave del torchio che può raggiungere anche i sette-otto metri di lunghezza.
I piani superiori sono estremamente semplici. Uno degli ambienti ha sempre un piccolo camino con ai lati alcuni ripostigli a muro. Le cornici delle porte e delle finestre, divelte quasi ovunque, sono sempre in pietra.
Le grotte
La grotta rappresenta senza dubbio il nucleo originario di ogni insediamento della valle per la facilità di scavo di questi declivi e l'economicità nel realizzare degli ambienti coperti. In alcuni casi si è poi costruito nella parte antistante la grotta chiudendola e alzando uno o più piani. In altri casi la grotta ha svolto la funzione di annesso agricolo di un vicino casino, o ha coperto da sola le esigenze del fondo. Il suo ingresso è quasi sempre munito di stipiti e di architrave in pietra; non sono rari gli architravi realizzati in legno di quercia.
L'ingresso alla grotta può essere preceduto da un corridoio scoperto, limitato lateralmente da muri a secco. La fronte della grotta è spesso realizzata con pietre e malta per dare una maggiore stabilità alla zona d'accesso. Superiormente alle zone di ingresso non è raro trovare piante di iris che hanno la precisa funzione, con il loro apparato radicale, di trattenere il terreno e di aumentare pertanto la stabilità e la resistenza all'erosione dagli agenti atmosferici della parte più fragile della grotta.
Gli impianti di pigiatura
L'impianto di pigiatura e torchiatura era costituito da una vasca, da un pozzetto di raccolta del mosto, da una grossa trave di legno collegata ad una vite senza fine e da un contrappeso solidale con la vite.
Impianto del Casino Visioni |
Il principio di funzionamento del torchio a trave è quello di una leva di secondo genere, il cui fulcro veniva realizzato inserendo in un foro della parete la testa di un palo tenuto fermo da un perno passante che lo ancorava alla parete di sostegno e diveniva nello stesso tempo il suo asse di rotazione. La trave passava inoltre fra due colonne in muratura che collegavano la parete esterna della vasca al soffitto: tale accorgimento era necessario per evitare spostamenti laterali della trave che per il notevole peso di questa, potevano rivelarsi pericolosi. La vite senza fine veniva inserita all'altra estremità della trave, terminante in genere con una forcella sulla quale si avvitava una piattabanda filettata, o con un foro passante. La rotazione provocava l'abbassamento della trave e l'aumento di pressione sulle vinacce.
Contrappeso del Casino Graziano |
Le vasche sono tutte perfettamente intonacate e realizzate in leggera pendenza verso il foro di scarico. In alcuni impianti, come nella grancia di S. Cristoforo, una intera stanza svolgeva la funzione di vasca di pigiatura.
Le cisterne
L'assoluta mancanza nella valle di sorgenti e corsi d'acqua, problema comune ai centri abitati di Carapelle C. e Castelvecchio C. che disponevano solamente di due pozzi, ha richiesto la costruzione di cisterne per la raccolta dell'acqua in ogni casino, grotta, o anche all'aperto ovunque vi fosse un fondo agricolo.
La costruzione della cisterna interna, o in molti casi il suo scavo, precede chiaramente la costruzione del casino. Ad una bocca molto stretta realizzata in muratura segue la cisterna che si allarga notevolmente con una capienza di diversi metri cubi di acqua. L'interno è in genere accuratamente intonacato per evitare la perdita dell'acqua raccolta.
Bocca della cisterna |
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